LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da Bianca Stella Ferrazzoli, elettivamente domiciliata in Roma, via Cicerone, 28, c/o l'avv. Lucio Fanti, che la rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso, contro il comune di Roma, in persona del sindaco senatore in carica, elettivamente domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, 21, c/o l'avv. Renato Zampini dell'avvocatura comunale, che lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del c/ricorso, controricorrente, avverso la sentenza della c.a. di Roma, del 20 ottobre 1986; Il consigliere dott. Nardino svolge la relazione; Il p.m. conclude in via principale: accoglimento primo motivo, assorbimento altri motivi. In via subordinata: rimessione atti Corte costituzionale. 1) Filippo Bertolami impugno' avanti alla commissione comunale per i tributi locali gli avvisi di accertamento notificatigli ad istanza del comune di Roma e relativi all'imposta di famiglia per gli anni 1961, 1962, 1963, 1965, 1966, 1967, 1969 e 1970. Con decisione n. 2242 del 5 maggio 1975 la commissione respinse i ricorsi concernenti le annualita' d'imposta dal 1965 al 1970; e con successiva decisione n. 4862 del 19 settembre 1977 elevo' a L. 25.000.000, avvalendosi dei poteri ad essa attribuiti dalla legge, l'imponibile relativo agli anni 1961, 1962 e 1963. Divenuti definitivi gli imponibili per mancata impugnativa delle due suddette decisioni, il comune di Roma provvide ad iscrivere nei ruoli le differenze d'imposta dovute (rispetto a quelle provvisoriamenteiscritte nel ruolo del 1973). I ruoli vennero quindi trasmessi all'esattoria comunale la quale, essendo nel frattempo deceduto Filippo Bertolami, comunico' avvisi di mora alla vedova, signora Bianca Stella Ferrazzoli. Costei adi' il tribunale di Roma, con atto di citazione notificato il 24 novembre 1982, con il quale convenne in giudizio il comune di Roma per sentir dichiarare l'insussistenza del credito tributario nei propri confronti. Instauratosi il contraddittorio, il suddetto tribunale, con sentenza del 16 ottobre 1984, respinse la domanda; e tale pronuncia venne confermata dalla corte d'appello di Roma, la quale, con sentenza in data 20 ottobre 1986, rigetto' l'appello della Ferrazzoli sulla base delle seguenti considerazioni: soggetto passivo dell'imposta di famiglia "e' l'intero nucleo familiare, inteso quale complesso di persone tra le quali sussista il concorso della parentela, della coabitazione e della comunione economica, tutte solidalmente obbligate al tributo e delle quali il capo famiglia e' soltanto il legittimo unico rappresentante"; "attesa la peculiarita' di detta imposta, ove la solidarieta' tributaria ha per presupposto la famiglia", non sono applicabili al tributo in questione i principi affermati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 48 del 16 maggio 1968 in tema di "garanzie di difesa degli obbligati solidali" e con riferimento all'imposta di registro, "stante la profonda diversita' delle situazioni regolarmente con i due tipi d'imposta"; poiche' l'imposta di famiglia doveva "essere accertata solo nei confronti del capo famiglia, a nulla rileva che la Ferrazzoli non abbia ricevuto la notifica dell'accertamento e delle decisioni conseguenti al procedimento dinanzi alle commissioni tributarie". Ne' puo' ravvisarsi alcun profilo di illegittimita' costituzionale "nel principio di solidarieta' tributaria collegato ad un unico rapporto di rappresentanza necessaria, che si instaura in subiecta materia tra il capo famiglia e l'ente impositore", avuto riguardo al fatto che l'imposta "non colpisce i singoli redditi dei componenti la famiglia autonomamente valutati, ma l'agiatezza della medesima nel suo complesso, desumibile da vari indici rivelatori". Avverso la suindicata sentenza Bianca Stella Ferrazzoli ha proposto ricorso per cassazione, formulando vari motivi di censura, il primo dei quali e' diretto a contestare l'interpretazione data dalla corte di appello di Roma alla disciplina (ora abrogata) dell'imposta di famiglia, sul rilievo che il principio della "rappresentanza tributaria necessaria", della quale sarebbe investito il capo famiglia nei confronti degli altri componenti la famiglia, solidamente obbligati al pagamento del tributo, non e' compatibile con i precetti di cui agli artt. 3, 24, 53 e 113 della Costituzione. 2) Tutto cio' premesso, osserva la Corte come la censurata interpretazione della normativa sull'imposta di famiglia (artt. 112, 115 e 117 del testo unico per la finanza locale approvato con r.d. 14 settembre 1931, n. 1175 e succ. modif.) sia sostanzialmente conforme ai principi costantemente affermati in subiecta materia dalla giurisprudenza di legittimita' e dai giudici tributari, secondo i quali: a) l'art. 115 cit. r.d. "assegna al capo famiglia la funzione di intestatario" dell'accertamento relativo all'imposta di famiglia (Cass. s.u. 12 giugno 1939 in causa esattoria Napoli c. Mocerino); b) soggetto passivo del tributo in questione non e' "la famiglia come entita' autonoma", essendo questa priva di personalita' giuridica e di autonomia patrimoniale: "e' vero, infatti, che il capo famiglia era il soggetto del rapporto tributario, in quanto egli era tenuto a presentare la dichiarazione ai fini dell'applicazione dell'imposta, era il destinatario delle notificazioni delle rettifiche e degli accertamenti di ufficio ed era legittimato a ricorrere contro i medesimi atti, era iscritto a ruolo per il pagamento dell'imposta, era assoggettabile alle eventuali sanzioni civili o penali in caso di denuncia omessa o infedele e di qualsiasi altra delle norme sull'applicazione del tributo"; mancava tuttavia nella disciplina positiva dell'imposta di famiglia una norma analoga a quella dell'art. 131 del testo unico 29 gennaio 1958, n. 645 (dichiarata, peraltro, costituzionalmente illegittima con sentenza n. 179 del 15 luglio 1976) "che individuasse in uno dei componenti del gruppo o in uno dei titolari dei redditi assoggettati al cumulo ai fini dell'applicazione dell'imposta il soggetto passivo del tributo, facendolo emergere dal gruppo come titolare di posizioni soggettive non soltanto procedimentali (come quelle innanzi menzionate), ma anche sostanziali" (Cass. 12 ottobre 1976, n. 3377); c) "soggetti passivi dell'imposta dovevano ritenersi, quindi, gli appartenenti al gruppo caratterizzato dall'unita' economica, i cui redditi e proventi di qualsiasi natura ed origine concorrevano a formare, in un unico coacervo, il reddito complessivo del gruppo o, nel caso in cui si ravvisi in questa il presupposto del tributo, a rivelare, come indice principale anche se non esclusivo, l'agiatezza della famiglia": il che trova conferma nel disposto del secondo comma dell'art. 115 cit. t.u., il quale espressamente pone "la responsabilita' solidale per il pagamento dell'imposta .. a carico di tutti i componenti della famiglia" (Cass. n. 3377/76 cit.; cfr. anche Cass. nn. 2622/70 e 3833/79, nonche' comm. trib. centr. 7 agosto 1984 nn. 7842 e 7847, 29 giugno 1983, n. 1620, 15 aprile 1982, n. 3268 e numerose altre decisioni conformi). Avuto riguardo alla suindicata posizione giuridica dei componenti la "famiglia" (come individuati dagli artt. 112 e 113 cit. t.u. e succ. modif. di cui agli artt. 28 e 29 della legge 2 luglio 1952, n. 703), la giurisprudenza tributaria ha stabilito che essi "possono stare in giudizio autonomamente, insieme o senza il soggetto capo famiglia" (dec. n. 1619/83 cit.) e che "tutti hanno possibilita' di esercitare il diritto di difesa per contestare l'accertamento dell'ente impositore, sollecitandone la verifica in sede contenziosa o intervenendo nel processo promosso da altri familiari" (dec. n. 7874/84 cit.). In base a tali considerazioni e sulla ribadita premessa che il capo famiglia non e' l'unico soggetto passivo dell'imposta di famiglia, ma "e' titolare solo di una posizione soggettiva procedimentale e non sostanziale" (dec. n. 7842/84 cit.), e' stata dichiarata piu' volte manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della normativa regolatrice dell'imposta di famiglia, anche sotto il profilo della impossibilita' del concreto esercizio del diritto di parte del membro della famiglia al quale nessun accertamento sia stato notificato (v. C.T.C. nn. 7847/84 e 7842/84 citati). La Corte ritiene di non poter integralmente condividere le argomentazioni poste dalla commissione centrale a fondamento del giudizio di manifesta infondatezza della suddetta questione ne' quelle esposte nella impugnata sentenza della corte d'appello di Roma. Ed invero, se il capo famiglia, secondo la consolidata interpretazione giurisprudenziale delle norme in esame, e' il solo titolare delle "posizioni soggettive" - sia pur "procedimentali e non sostanziali" - indicate sub b) ed e', in particolare, l'unico "soggetto del rapporto tributario" relativo all'imposta di famiglia (cosi' Cass. n. 3377/76 cit.), e' indispensabile verificare se gli altri "soggetti passivi" del tributo, ai quali il diritto di difesa viene formalmente riconosciuto anche da parte di questa Corte (cfr. Cass. n. 3833/79 cit.), abbiano effettivamente la possibilita' di esercitarlo fin dalla fase della rettifica della dichiarazione e dell'accertamento di maggiore imponibile da parte del comune, impugnando autonomamente e per ragioni proprie i relativi atti di imposizione per impedire che divengano definitivi anche nei loro confronti, ovvero se, nonostante la identita' - sottolineata da autorevole dottrina - delle situazioni giuridiche sostanziali del capo famiglia e degli altri membri del nucleo familiare, l'affermato principio della "rappresentanza necessaria" del gruppo, di cui sarebbe investito il capo famiglia, ed il conseguente svolgimento, nei soli confronti di quest'ultimo, dell'intero procedimento di accertamento dell'imponibile e di iscrizione a ruolo dell'imposta nella maggior misura pretesa dal comune, non si risolvano nella violazione del principio del contraddittorio, che costituisce uno degli aspetti fondamentali del diritto inviolabile alla difesa sancito dall'art. 24 della Costituzione. Va a tal riguardo ricordato che - come questa Corte ha stabilito nel solco univoche indicazioni del giudice delle leggi (e con specifico riferimento alla imposta di famiglia) - "il diritto di difesa e' in primo luogo garanzia di contraddittorio: pertanto, pur potendo variamente atteggiarsi in funzione delle peculiari caratteristiche dei diversi tipi di procedimento, esso e' assicurato solo quando l'interessato abbia la possibilita' di partecipare ad una effettiva dialettica processuale" (Cass. n. 3833/79 cit.; cfr. anche le sentenze della Corte costituzionale ivi richiamate nn. 5/1976, 199/1975, 255/1974, 190/1970, 36/1976 e 51/1965 nonche' le sentenze della stessa Corte nn. 162/1975 e 174/1976 secondo cui "il diritto di difesa deve essere garantito in modo effettivo e adeguato alle circostanze .."). Orbene, sembra al collegio che un sistema normativo che prevede, sia nel procedimento di accertamento dell'imponibile sia nella eventuale fase contenziosa successiva, l'istituzione di un rapporto tra l'ente impositore ed uno solo dei soggetti passivi della imposizione (il capo famiglia), mentre lascia ai margini gli atti componenti del "gruppo" familiare, solidalmente responsabili del pagamento dell'intero carico d'imposta, presti il fianco a seri dubbi di compatibilita' con i precetti dell'art. 24, primo e secondo comma, della Costituzione, ove si consideri che la tutela dei diritti e degli interessi di questi ultimi resta sostanzialmente condizionata alle iniziative ed all'operato (o all'inerzia) del capo famiglia. Essi, infatti, non avendo diritto alla notifica dell'atto di accertamento (del quale e' destinatario, secondo i principi innanzi ricordati, il solo capo famiglia), possono far valere autonomamente le proprie ragioni nei confronti del comune nella sola ipotesi in cui vengano occasionalmente a conoscenza dell'accertamento, in tempo utile per contestarne nei termini di legge la legittimita' e la fondatezza; in caso contrario il loro diritto di difesa resta vanificato e non e' in concreto esercitabile utilmente, con la conseguenza che accertamenti ad essi ignoti, divenuti definitivi nei riguardi del capo famiglia, sono loro opponibili e rendono non piu' contestabile la determinazione dell'imponibile e la misura dell'imposta, il cui pagamento - come gia' si e' detto - e' posto dalla legge anche a loro carico ed e' garantito anche dal loro patrimonio personale. Tale situazione presenta, ad avviso della Corte, non marginali analogie con quella che ha dato causa alla pronuncia dichiarativa di illegittimita' costituzionale degli artt. 20 e 21 del d.l.l. 7 agosto 1936, n. 1639, "nella parte per la quale dalla contestazione dell'accertamento di maggior imponibile di uno solo dei coobbligati, decorrono i termini per l'impugnazione anche nei confronti degli altri" (Corte costituzionale 16 maggio 1968, n. 48). Non sfugge certo al collegio la diversita' tra la fattispecie decisa con la suindicata sentenza e quella che forma oggetto della presente controversia ne' la diversita' di natura e di struttura dell'imposta di registro (cui si riferisce detta pronuncia) rispetto a quella di famiglia (a base essenzialmente collettiva); ma questa doverosa constatazione non sembra sufficiente a privare di pertinenza al caso in esame le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale a sostegno della decisione: un sistema di tutela "che toglie ad alcuni condebitori di un tributo ogni possibilita' di difesa autonoma del proprio interesse, perche' fa espandere fino a loro gli effetti del giudicato ottenuto nei confronti di altro coobbligato, un sistema che estende a quei condebitori una preclusione verificatasi nei rapporti di un altro e che comunque consente di comunicare ad uno solo dei coobbligati una pretesa che riguarda anche tutti gli altri .. e' un sistema che lascia arbitra l'amministrazione finanziaria di porre fuori dal diritto di difesa condebitori interessati ad esplicarla", in violazione della "regola inderogabile fissata dall'art. 24, primo comma, della Costituzione". Non e' superfluo ricordare come la stessa Corte costituzionale, nella parte finale della sentenza n. 48/1968, abbia avuto cura di puntualizzare che la declaratoria di incostituzionalita' delle norme sopra indicate "non puo' limitarsi agli effeti dell'imposta di registro", sia perche' le norme denunciate riguardavano "genericamente ed indiscibilmente tutte le imposte sui trasferimenti di ricchezza", sia anche perche' "le ragioni addotte non hanno carattere esclusivo per l'imposta di registro": affermazione - quest'ultima - che pone in risalto il potenziale carattere di generalita' dei principi enunciati in ordine alla garanzia di effettivita' del diritto di difesa (nonche' in tema di solidarieta' tributaria) e la conseguente estensibilita' dei principi stessi, ove ricorrano analogia di situazioni e identita' di ratio, a tributi anche diversi da quelli sui trasferimenti di ricchezza, non esclusa l'imposta di famiglia, non sembrando a cio' di ostacolo la circostanza che i componenti della famiglia appartengono ad un "gruppo" caratterizzato dalla "unita' economica" (v. art. 12 t.u.f.l.), i cui redditi vangono considerati globalmente ai fini della determinazione dell'imponibile. 3) Osserva inoltre la Corte come la normativa in esame non si sottragga al sospetto di incostituzionalita' anche in riferimento al precetto dell'art. 3 della Costituzione, in quanto attribuisce al solo capo famiglia particolari "posizioni soggettive procedimentali" (tra cui quella di essere unico destinatario della notifica dell'atto di accertamento), cosi' creando una ingiustificata disparita' di trattamento tra il capo famiglia e gli altri componenti del nucleo familiare, nonostante che costoro siano - come si e' gia' rilevato - titolari di identiche posizioni giuridiche sostanziali e siano tutti parimenti interessati a conoscere la pretesa dell'ente impositore, destinata ad esplicare effetti diretti sul loro patrimonio, ed a contestarla personalmente ed autonomamente in tutte le sedi competenti. 4) In conclusione, la Corte ritiene non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 112, 115, e 117 del t.u. n. 1175/1931 (e successive modificazioni) in riferimento agli artt. 24 e 3 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che gli atti di rettifica e di accertamento dell'imposta di famiglia siano notificati, oltre che al capo famiglia, anche a tutti gli altri componenti della famiglia indicati nella dichiarazione, al fine di porli in grado di conoscere tempestivamente ed in tutti i suoi elementi la pretesa tributaria e di contestarla autonomamente nei termini prescritti, esperendo i rimedi a tal fine disposti dalla legge. 5) Palese e' la rilevanza di detta questione nella presente controversia, dalla sua soluzione dipendento il giudizio circa la legittimita' e fondatezza della pretesa del comune di Roma di ottenere dalla signora Ferrazzoli il pagamento dell'imposta di famiglia liquidata ed iscritta a ruolo nei confronti del marito (ora defunto) Filippo Bertolami, sulla base di accertamenti dell'imponibile non notificati (ne' in qualsiasi altro modo resi noti) alla ricorrenza e divenuti definitivi nei riguardi dello stesso Bertolami in forza di decisioni della commissione di primo grado da lui non impugnate.